Mantenere i livelli pressori sotto i 120 mmHg, invece dello standard di 140 mmHg, può aggiungere da sei mesi a tre anni di vita a seconda di quando inizia il controllo pressorio intensivo, secondo uno studio pubblicato su JAMA Cardiology. «Basandoci sui dati studio SPRINT abbiamo stimato i benefici a lungo termine del controllo intensivo della pressione arteriosa» esordisce il coautore Muthiah Vaduganathan, cardiologo del Brigham and Women’s Hospital, spiegando che al trial hanno preso parte più di 9.000 adulti di età pari o superiore a 50 anni a rischio cardiovascolare non diabetici con una sistolica compresa tra 130 e 180 mmHg (130 mmHg o superiore è considerato ipertensione). I partecipanti sono stati randomizzati a un controllo pressorio intensivo mirato a raggiungere una sistolica di almeno 120 mmHg oppure un controllo standard di almeno 140 mmHg. Dopo circa tre anni di follow up Vaduganathan e colleghi hanno stimato che se i pazienti avessero continuato le loro terapie antiipertensive per il resto della vita, il controllo stretto a 120 mmHg di sistolica avrebbe potuto aggiungere da sei mesi a tre anni alla loro esistenza rispetto al mantenimento dell’obiettivo standard a 140 mmHg. «La durata dipende dall’età della persona: chi ha iniziato la cura a 50 anni, l’aumento dell’aspettativa di vita è pari a 2,9 anni; per chi inizia a 65 anni è di 1,1 anni; per chi inizia a 80 anni, è di nove mesi» precisano gli autori, osservando tuttavia che lo studio non tiene conto di potenziali rischi come la nefropatia e l’ipotensione, spesso associati a un controllo intensivo della pressione. «Le stime dei benefici per la sopravvivenza devono essere attentamente valutate rispetto a questi potenziali rischi nella selezione degli obiettivi di pressione sanguigna per ogni singolo paziente» scrivono i ricercatori. E Vaduganathan conclude: «La nostra speranza è che questi risultati siano d’aiuto discutendo i potenziali benefici e rischi del controllo prolungato della pressione sanguigna».
